In otto anni, decine di giovani sono stati aiutati dal centro Macondo di Chiasso
di Dino Stevanovic
«L’onda pandemica è lunga e dal mio osservatorio la scia che genera non è che un assaggio in proiezione futura». Non nasconde la preoccupazione Yvan Gentizon: per i ragazzi che partecipano al progetto di reinserimento socioprofessionale che coordina dal 2013, la pandemia ha avuto, sta avendo e rischia di avere ripercussioni importanti. E le segnalazioni a Macondo – dalla cui sede in via Camponovo 4 a Chiasso sono transitati circa 150 giovani di cui più della metà hanno trovato soluzioni lavorative e/o formative – sono in crescita.
Che bilancio per questi otto anni?
Nonostante tutto soddisfacente. Da un punto di vi- sta operativo negli anni ci siamo impegnati nello sviluppo minuzioso di un modello d’intervento, basato sul lavoro sinergico tra educatori, psicologa e maestri socioprofessionali (una dozzina di persone in totale, ndr), mentre i dati incoraggianti ci dicono che il 75% dei partecipanti che intraprendono il percorso lo terminano con successo.
Chi sono i partecipanti al progetto?
Giovani adulti che per vari motivi non hanno concluso un ciclo scolastico o d’apprendistato. Generalmente hanno vissuto periodi di stallo più o me- no lunghi, durante i quali si sono generate situazioni difficili da gestire. Non di rado alcuni ragazzi incappano loro malgrado in circostanze personali complesse da sostenere, a ciò si aggiungono dubbi su scelte professionali e personali azzardate pregresse, altri ancora faticano a rimanere al passo coi tempi imposti da mondo del lavoro e società, altri infine sono confusi su ciò che vorrebbero fare del loro futuro. È quindi utile fermarsi un attimo, riflettere, condividere con i partecipanti la loro situazione e riorientare il loro progetto di vita e professionale. La formazione, come il lavoro, in termini di riconoscimento identitario hanno un certo peso e per un giovane non riuscire a concretizzarli può far vacillare certezze ed equilibri emotivi.